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La carica delle mini privatizzazioni
29 luglio 2008
Nel carniere non c’è molto e pensare di abbattere la montagna del debito pubblico con quanto lo stato può realizzare vendendo le aziende che ancora controlla è più che mai una chimera. Giulio Tremonti lo sa benissimo e infatti le due paginette che il Dpef dedica alle privatizzazioni sono improntate ad uno scarno realismo. Eni, Enel e Finmeccanica non si toccano, né alcuno lo aveva ipotizzato e le Ferrovie hanno ancora un lungo percorso davanti prima di poter affrontare il mercato finanziario.
Quel che resta sono Poste Italiane, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato e Sace, possedute direttamente dal Tesoro, nonché Fincantieri e Tirrenia, possedute indirettamente tramite Fintecna.
In termini di valori, il boccone principale sono le Poste, ma si tratta di una questione complicata assai. Quello che vale delle Poste è l’attività bancaria, che viene svolta attraverso la capillare rete di sportelli attraverso i quali si fa anche il servizio postale vero e proprio.
Una scissione tra le due attività è particolarmente complessa (si dovrebbero definire le quote di personale che vanno a ciascun settore, nonché gli spazi negli sportelli e quant’altro) e forse neanche auspicabile.
E in più, all’interno dell’attività bancaria stessa c’è il fatto che il risparmio postale che passa attraverso quegli sportelli viene poi gestito dalla Cassa Depositi e Prestiti per finanziare gli enti locali e dalla Tesoreria centrale dello Stato.
Quindi di privatizzazione si può anche parlare ma prima di arrivarci ci sono nodi normativi e organizzativi assai complicati da sciogliere e, soprattutto, da sciogliere senza fare danni.
Oltre alle Poste, e lasciando da parte Alitalia, che difficilmente porterà qualcosa nelle casse dello Stato, l’unico altro boccone che ha un valore significativo è la Sace, partecipazione ben patrimonializzata (5,8 miliardi) e redditizia (377 milioni di euro l’utile del 2007).......
AFFARI E FINANZA ultimo aggiornamento 30 Giugno 2008
MARCO PANARA