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La Gran Bretagna si pente del liberismo

23 agosto 2009

Con la crisi i britannici hanno cominciato a sentire la mancanza di uno stato forte. Nel paese del libero mercato stanno riacquistando importanza le aziende pubbliche “I britannici hanno rinunciato al socialismo”. Nel 1979 Margaret Thatcher, appena nominata primo ministro, avviò con questo slogan una serie di riforme per risanare l’economia. La lady di ferro, in particolare, lanciò il più grande programma di privatizzazioni della storia britannica. Dopo le enormi perdite registrate da ingombranti aziende pubbliche come la casa automobilistica British Leyland, la cura della Thatcher produsse gli effetti sperati: l’economia del paese tornò a essere una delle più importanti d’Europa. A trent’anni di distanza, però, in Gran Bretagna la strategia delle privatizzazioni non è più intoccabile. Il governo laburista di Gordon Brown ha avviato un programma di rinazionalizzazioni dettato dalla necessità più che da fattori ideologici. Di fronte alla recessione più grave degli ultimi cinquant’anni, si fa sempre più forte la richiesta di uno stato forte. La tendenza è cominciata nel 2008 con l’intervento del governo a favore di grandi banche come la Northern Rock, la Royal Bank of Scotland e il Lloyds Banking Group. La Gran Bretagna si inserisce così in una corrente che attraversa tutta l’Europa. Dopo il picco negativo registrato negli anni novanta, le partecipazioni statali sono tornate a crescere. Secondo i calcoli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nel biennio 2008-2009 la presenza dello stato nell’economia britannica è aumentata dal 45,4 al 47, 7 per cento. E per il 2010 gli esperti prevedono un ulteriore aumento fino al 48,9 per cento. Nel quarto trimestre del 2008, inoltre, il numero dei dipendenti pubblici è improvvisamente cresciuto di 250mila unità, per effetto dell’intervento statale nel settore bancario. Nel complesso i cittadini britannici che dipendono dallo stato sono 9,1 milioni, circa il 20 per cento dei posti di lavoro presenti nel paese. Il principale datore di lavoro è il sistema sanitario nazionale, ma altri settori sono in forte crescita. Nel ramo delle ferrovie, per esempio, è in corso un’inversione di marcia: il governo sta per rilevare il più importante collegamento su rotaie tra la Scozia e Londra: la East coast main line. Il gruppo ferroviario privato National Express, infatti, non è più in grado di sostenere i costi della linea. Ma probabilmente la catastrofe della National Express non resterà un caso isolato, dal momento che molte delle 25 aziende ferroviarie attive nel paese hanno gravi difficoltà finanziarie. Il governo ha deciso anche di frenare la privatizzazione parziale della Royal Mail, le poste britanniche. Come ha confermato il ministro dell’economia Peter Mandelson, in questo momento è impossibile ottenere un prezzo che corrisponda al valore effettivo dell’azienda. Con questa ammissione il governo risponde anche alle dure proteste dei 160mila dipendenti delle poste, che temono di perdere il posto di lavoro. Conseguenze imprevedibili A questo punto Londra è di fronte a un dilemma: se ascoltasse le richieste degli elettori, dovrebbe aiutare praticamente tutte le imprese in difficoltà. Le conseguenze sarebbero imprevedibili, visto che le sovvenzioni pubbliche stanno aprendo una voragine nel bilancio dello stato. L’agenzia di rating Standard & Poor’s prevede una progressiva riduzione della solvibilità della Gran Bretagna. L’indebitamento dello stato, inoltre, potrebbe raggiungere presto il 100 per cento del pil. Secondo molti economisti, serve un approccio più pragmatico alle nazionalizzazioni: “Il modello di partecipazione statale dovrebbe variare in base al ramo di attività. Non si tratta solo di attenersi a un principio, ma di prendere decisioni adatte al singolo caso”, ha detto Mike Kenny, dell’Institute for public policy research di Londra. Un’altra questione è se lo stato debba porre dei limiti alle dimensioni delle aziende. Come osserva Oliver Hems, della Numis Securities, gruppi inanziari come la Royal Bank of Scotland e il Lloyds Banking Group erano diventati troppo grandi per fallire. Secondo Hems, bisogna favorire istituti di credito più piccoli e snelli, capaci di adattarsi con maggior flessibilità al mercato. Un invito simile è stato formulato anche da Mervyn King, il governatore della banca centrale. Ma a questi consigli il ministro delle finanze Alistair Darling non ha ancora dato ascolto. [Fonte Suddeutsche Zeitung – Internazionale] di Andreas Oldag L'ALTRACITTA' - domenica 23 agosto 2009

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