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LA PAGA DEL POSTINO. E QUELLA DEL MANAGER

03 gennaio 2008

La Germania ha davvero fatto progressi nelle riforme del mercato del lavoro? Non sembra a giudicare dalla scelta di imporre un salario minimo per i dipendenti delle poste alla vigilia della privatizzazione del servizio. E' un ostacolo al decollo della distribuzione privata della corrispondenza e impedirà la creazione di un buon numero di posti di lavoro. E che dire del dibattito su un possibile tetto agli stipendi dei manager? E' solo demagogia. Basterebbe applicare ai più alti dirigenti d'azienda le stesse regole che vigono per le stelle del calcio. Le ultime settimane sono state difficili per gli economisti che vivono in Germania o che di quel paese si occupano. Tanto per cominciare, il Parlamento ha appena varato un salario minimo per i lavoratori delle poste. Poi, tutto il paese è invischiato in una discussione sugli “eccessi degli stipendi dei manager” – e un significativo numero di politici sostiene la necessità di imporre un tetto a questi stipendi – un salario massimo, dunque. La qualità del dibattito economico è dunque pessima, tanto che sarebbe il caso di pensarci due volte prima di affermare che la Germania ha fatto qualche progresso fondamentale nella riforme del mercato del lavoro. Un salario minimo per i postini Iniziamo dal salario minimo per i lavoratori delle poste. La maggior parte dei non addetti ai lavori probabilmente non sa che la Germania, a differenza di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, non ha un salario minimo. E allora perché prevedere un trattamento speciale per i lavoratori postali? Accade che in determinate circostanze, il governo possa dichiarare i salari fissati dalla contrattazione collettiva vincolanti per tutti i lavoratori. Per la verità, è un meccanismo raramente invocato, perché generalmente non sussistono le condizioni necessario per farlo. E in particolare non sussistono in quei settori nei quali i salari scendono di più - dove la concorrenza dei lavoratori stranieri è maggiore. Negli ultimi anni, edilizia e servizi di pulizia sono stati quelli sotto particolare pressione. In risposta alle crescenti pressioni (critiche) dei sindacati, nel 1996 è stata approvata la Entsendegesetz, la legge sul distacco di lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, che stabilisce le retribuzioni minime e le condizioni di lavoro per gli stranieri che lavorano in Germania per datori di lavoro stranieri. Mentre il Trattato dell’Unione Europea garantisce il generale diritto dei cittadini dell’Unione a lavorare legalmente in Germania, il fatto che europei dell’Est fossero disposti a lavorare per salari nettamente inferiori a quelli decisi dalla contrattazione collettiva, costituiva un’ovvia fonte di tensione. Ora, però, si usa questa legge per estendere il salario minimo a tutti i lavoratori della distribuzione postale. Probabilmente, siete ancora confusi: da quando i cittadini Est europei lavorano negli uffici postali tedeschi? Infatti, non ci lavorano. Come in molti altri paesi, in Germania i lavoratori delle poste non se la cavano male nella catena alimentare. Il prossimo anno, però, il monopolio postale si ridurrà in modo significativo, permettendo alle imprese private di competere direttamente con Deutsche Post, che detto per inciso è una società quotata al Dax e ha 500mila dipendenti. I corrieri delle poste tedesche guadagnano tuttora uno stipendio da impiegati statali e dunque il loro posto di lavoro sarà senz’altro minacciato da lavoratori con salari più bassi dipendenti da imprese private come Pin o Tnt, che incidentalmente non sono dell’Est europeo. In altri termini, la Entsendegesetz serve da cavallo di Troia per l’introduzione di un salario minimo in Germania – e comporterà probabilmente la perdita di migliaia di posti di lavoro nel settore della distribuzione postale privata. Se non siete ancora usciti dalle nebbie della confusione, pensate che il neoministro del Lavoro Olaf Scholz ha appena annunciato che il salario minimo sarà esteso ad altri settori, come agenzie di lavoro temporaneo, impacchettamento della carne, giardinaggio, saloni di bellezza e panifici, solo per citarne alcuni. E il salario massimo dei manager Che dire, poi, del salario massimo? La discussione generalizzata sull’“equità” – non soltanto sull’equità di salari minimi, ma anche degli alti compensi dei manager – ha superato ogni immaginazione dal punto di vista economico. Sempre sul filo di una malcelata invidia, il dibattito la dice lunga sul grado di sofisticazione economica dei politici, dei media e di coloro che essi rappresentano, il pubblico generale. Invece di porsi l’unica domanda sensata sotto il profilo economico – perché i lavoratori impiegati nei settori e nelle occupazioni a bassa specializzazione guadagnano così poco e perché i manager guadagnano così tanto – la reazione automatica è stata chiedere un maggiore intervento dello Stato. Il dibattito è diventato a dir poco demagogico. I sindacati cercano disperatamente di distogliere l’attenzione dai loro evidenti fallimenti: non soltanto non riescono a organizzare i lavoratori sottopagati e ottenere per loro più alti salari, ma non riescono neanche a mantenere la fiducia di lavoratori altamente qualificati, come i medici, i piloti d’aereo, gli ingegneri ferroviari. Mentre è vero che molti manager, come accade in altri paesi ricchi, guadagnano salari esorbitanti anche quando svolgono male il loro compito, resta comunque quella che chiamo “la legge manageriale dei grandi numeri”. Prendiamo di nuovo Deutsche Post, che nel 2006 ha pagato in totale compensi per circa 18,6 miliardi di euro, ovvero circa 37mila euro per dipendente. Nello stesso anno i dirigenti con qualifiche più alte (Vorstand) hanno percepito 10 milioni di euro di paga base. Fare a meno del management di questa società quotata al Dax porterebbe nelle tasche del lavoratore medio di Deutsche Post circa 20 euro l’anno, una somma che non basta per una cena decente per due in un ristorante senza pretese di Berlino. In compenso, la società senza management andrebbe alla deriva: una prospettiva non proprio piacevole per chi si guadagna da vivere alla Deutsche Post. Se la Germania vuole davvero mettere un tetto agli stipendi dei manager, allora deve reintrodurre imposte sul reddito alte e progressive, come quelle in vigore in Danimarca e Svezia. Certo, dovrà anche convivere con le conseguenze: i migliori talenti migreranno verso paesi con una più bassa imposizione fiscale. Per esempio, una conseguenza indesiderata potrebbe essere quella di spingere verso l’estero un certo numero di stelle dello sport. Esiste però una soluzione alternativa. Semplicemente, gli azionisti potrebbero imporre ai manager le stesse regole imposte agli atleti che guadagnano cifre comparabili: assunzione discrezionale, nessuna protezione dell’impiego, paga correlata ai risultati, nessun paracadute, tanto meno d’oro, nessuna stock option liquidabile. In fondo, perché Joseph Ackermann, l’amministratore delegato di Deutsche Post, dovrebbe essere trattato in modo diverso da Michael Ballack che gioca (tuttora) per il Chelsea e che nel 2006 ha guadagnato più o meno lo stesso salario? Michael Burda 03.01.2008 – LAVOCE INFO /TELOS

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