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Chiamata alle armi per la banca

29 dicembre 2009

La crisi del settore, i cambiamenti dell’arena competitiva e l’evoluzione dei clienti portano le banche a confrontarsi oggi con uno scenario difficile che rende prioritaria una redifinizione della maniera classica di fare banca che unisca la ricerca di maggiore trasparenza, d’innovazione e di efficacia commerciale. La crisi dal punto di vista degli operatori finanziari inizia probabilmente il 9 agosto del 2007, quando la Banca Centrale Europea distribuisce 94,8 miliardi di Euro per cercare di stabilizzare i mercati scossi dalla grave mancanza di liquidità dovuta ai mutui subprime. I clienti delle banche ricordano con più frequenza il 14 settembre 2007, quando in migliaia accorsero agli sportelli della Northern Rock per paura di non riuscire a rivedere il loro denaro. Quel giorno si materializzò nella mente dei clienti la mancanza di fiducia nei confronti delle banche. Una sfiducia culminata nel settembre 2008, quando il fallimento di Lehman Brothers segna l’inizio della più grande crisi dal ‘29. Ad un anno di distanza gli istituti finanziari operano ancora nella costante incertezza rispetto all’andamento dell’industria, del comportamento della clientela e quindi del proprio business. Il nuovo scenario Innanzitutto è chiaro che il modello di business delle banche è ancora sotto stress sia sul fronte degli impieghi che della raccolta. In base al bollettino economico di ottobre di Banca d’Italia risulta che i margini delle banche sono messi a rischio dal rallentamento dei finanziamenti ai privati diminuiti al 2,2% (nel 2007 e nella prima metà 2008 la crescita era superiore al 10%). Ciò è da ricondursi agli effetti della congiuntura economica sulla domanda ma anche alle condizioni di offerta di questi prodotti, che rimangono restrittive. Oltre ai finanziamenti, anche la crescita della raccolta è rallentata e tuttora risente del basso livello dei tassi di interesse. Ad agosto 2009 il tasso di crescita sui 12 mesi era pari al 1,1%, diminuito sostanzialmente rispetto agli anni precedenti, quando si attestò al 4,7% nel 2008 e all’11,0% nel 2007. Allo stesso modo le attività dei fondi e degli operatori di private banking hanno subito una grave fase di arresto durante la crisi finanziaria. La raccolta dei fondi ha subito una contrazione continua per tre anni, fino a giugno 2009; allo stesso modo la raccolta del private banking nel 2008 è scesa di oltre il 10%. L’industria globale dell’investment banking ha subìto addirittura una rivoluzione strutturale. Lo scenario oggi è cambiato completamente rispetto a quello pre-crisi, con tre delle cinque grandi banche di investimento americane che non esistono più (Lehman Brothers, Merrill Lynch e Bear Stearns) e Goldman Sachs e Morgan Stanley obbligate dalla Fed a diventare holding bancarie definendo quindi la fine del modello dell’investment banking puro. Il business di questi operatori è tuttavia ancora sotto pressione, anche a causa della drastica riduzione dell’attività di trasformazione dei prodotti caratteristici del lending in prodotti strutturati. Gli effetti della crisi si uniscono a un sostanziale mutamento e inasprimento della pressione competitiva. Diversi sono gli accadimenti che hanno cambiato non solo gli equilibri dell’arena competitiva ma la sua stessa composizione. Innanzitutto l’industria finanziaria negli ultimi due anni è stata caratterizzata, sia a livello italiano che internazionale, dal ricorso ad operazioni di M&A che hanno portato ad un’accelerazione della sua concentrazione. Si possono identificare nel mercato alcuni player che stanno rafforzando la loro posizione competitiva (come ad esempio Deutsche Bank con l’acquisizione di Sal. Oppenheim), altri che sono portati alla vendita di attività non strategiche per recuperare liquidità e/o ottemperare a decisioni esterne (è il caso delle attività assicurative per ING) ed altri ancora che si ritirano dal mercato (Citibank si ritira dal private banking in Italia e dal retail banking in Germania). Se da un lato si assiste a cambiamenti nella costellazione interna, dall’altro lato emerge come le barriere competitive si siano spostate. Questo è dovuto senza dubbio all’ingresso e all’offerta di servizi finanziari da parte di aziende di altri settori quali quelli industriali, i produttori e i distributori di beni di consumo (specialmente high-tech e GDO) ed i provider alternativi (Paypal, Telco, ecc...). Inoltre, si è verificato il progressivo ampliamento e una convergenza dell’offerta degli operatori finanziari (banche online, banche straniere, compagnie assicurative, operatori finanziari specializzati, consulenza indipendente ed altri fornitori di servizi). di redazione BLUERATING 23-12-2009 16:30

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